E’ ora di rompere il silenzio accendendo il motore, educato sì, ma
sempre un po’ sacrilego e cialtrone, anche al minimo…e la poesia va
in pausa.
Ma la scena scorre, fa una curva e dietro la curva una
(BELLA PAVIMENTAZIONE IN MARMO BIANCO – SPETTACOLO) bella distesa di
neve ghiacciata che mi riporta alla realtà dandomi non poche
preoccupazioni in fase di inversione di marcia.
Marmo
un cavolo: non si sta ritti. Fermissimo, spengo il motore, apro il
cavalletto e metto in prima, tiro la frizione e sempre in sella spingo
in retromarcia con entrambi i piedi fino a riuscire nell’inversione.
Bene, è andata, è l’ora di fermarsi e (GODERE) fare qualche foto, che qui è una meraviglia!
Immensi
alberi di natale originali, non addobbati se non dalla neve, paiono
nascondere e proteggere chissà quali nidi nel buio delle fronde e nel
silenzio della neve.
Ho bisogno di ascoltare questo silenzio immane e devastante. Tolgo il casco e l’ambiente si impossessa dei miei sensi.
Accade che:
1.fruscìo di vento
2.fresco al viso
3.tutto bianco
4.odore di freddo (PELO DI GATTO)
5.assaggio la neve (AROMA INDEFINIBILE, POLVEROSO)
e
poi come accade a tutti i maschietti che si rispettino in situazioni
come questa, parte l’autosfida per scrivere il proprio nome sul manto
innevato.
Ma non mi chiamo Ugo, e anche stavolta sarà per la prossima volta.
Autoritratto
dal sapore un po’ vasariano, uno scatto all’orma di animaletto e poi si
riscende, perché laggiù mi aspetta l’ultimo sole.
Eccola
qua, la luce calda dell’inverno, quella che ti fa stare davanti al
focolare anche a 1000 metri di quota, che scalda dentro passando dagli
occhi.
Fatti
200 metri mi rifermo e trovo il mio angolo di eden, dove il cielo è
rosa e blu, e gli alberi sono vivi (ORA SI VEDE CHE DORMONO SOLTANTO),
le ombre sono lunghe e strani esseri trasparenti crescono a testa in giù.
Non può mancare la foto di rito